Giuseppe Gallo, disegno della
pianta e delle sezioni
trasversali verso l'ingresso e
verso l'abside della cappelletta
di San Antonio da Padova e del
dettaglio dei piloni e raggera
del Bambino, 1900.
Autori: Giuseppe
Gallo e Bartolomeo
Gallo.
A
pochi minuti di strada dalla barriera
di San Paolo, in
un'area popolata soprattutto dagli
operai che lavorano nelle vicine
officine ferroviarie,
Giuseppe Gallo
realizza a partire dal 1891 la sua
prima opera di rilievo: la chiesa
costruita per i Minori
francescani e intitolata a
San Bernardino da Siena. Nell'aprile
del 1891 il progetto è completato e
l'appalto viene attribuito
all'impresario Andrea
Verna, che effettua un
ribasso del 24 per cento sull’importo
delle opere computato da Gallo. Il 13
aprile iniziano i lavori e il 28
giugno dello stesso anno viene posata
la prima pietra. La benedizione della
chiesa, che ne sancisce l'apertura al
culto, è del 15 luglio 1893, alla
presenza di monsignor Giovanni
Battista Bertagna, vescovo di
Cafarnao. I lavori, tuttavia,
non sono ancora conclusi: nel 1896 il
campanile (sul quale interviene nel
1899 l'impresa Culatti) non è
terminato e mancano parte degli
arredi, tra i quali gli stalli del
coro. Nel 1901 viene portata a
termine la cappella di
Sant'Antonio e si completa
il cielo del pulpito. Gallo tornerà a
lavorare sull'edificio ancora negli
anni successivi al 1917. Nell'agosto
di quell'anno, infatti, l'edificio è
dato alle fiamme durante i disordini
sociali che caratterizzano la città;
i rivoltosi appiccano il fuoco
all'interno dell'edificio, svellono
la porta esterna, le vetrate, la
bussola, l'organo e danneggiano
l'altare maggiore. Anche gli arredi,
utilizzati per erigere barricate,
vengono in parte distrutti. I
necessari lavori di restauro sono
intrapresi l'anno successivo, sebbene
la guerra renda difficoltoso il
reperimento dei materiali. La perizia
per il restauro della chiesa prevede
anche rinforzi statici e il
rifacimento della volta che copre la
campata davanti al
presbiterio.
Per la sua prima opera importante
Gallo opta per il
linguaggio
neomedievale, scelto
probabilmente in riferimento
all'epoca in cui visse il santo
(1380-1444). La pianta
longitudinale a tre navate si fonda
su un’impostazione geometrica di
tipo proporzionale, che tornerà con
frequenza nella maggior parte dei
suoi progetti. Si tratta di un
principio di modularità fondato
sull’aggregazione di quadrati di
3,90 metri di lato che definiscono
un rettangolo i cui lati sono in
rapporto 4 a 9. Gli spazi tra le
navate sono scompartiti da pilastri
polistili che sorreggono volte a
crociera anch’esse quadrate (2 x 2
moduli per complessivi 7,80 metri
di lato). La navata centrale ha
dunque larghezza doppia rispetto a
quelle laterali. Sul quarto
quadrato è collocato il
presbiterio, con l'altare maggiore,
rialzato e separato con una
balaustrata dagli spazi riservati
ai fedeli, mentre un ulteriore
quadrato di due moduli si protende
oltre il lato corto del rettangolo
di base a definire l'area del coro
per i monaci. Il breve transetto è
concluso da absidi poligonali.
Anche gli spazi per gli altari
laterali, per i retrostanti
coretti, così come quelli per gli
accessi laterali alla chiesa (con
la sovrastante tribuna per l’organo
e l’orchestra) hanno tutti le
dimensioni di un modulo. Questa
chiara impostazione planimetrica
concorre in modo evidente a
definire la spazialità cartesiana
dell’edificio, uno spazio misurato
nitidamente secondo un principio
compositivo e proporzionale al
tempo stesso. Il modulo
dimensionale definisce infatti
anche la scansione degli alzati:
ribaltato, esso stabilisce l'esatta
metà dell’altezza dei pilastri
polistili, considerata dalla base
sino alla sommità del capitello
(misura corrispondente anche alla
distanza tra gli spigoli delle basi
dei pilastri stessi: la larghezza
della navata è uguale all’altezza
della colonna dalla base al
capitello). La proiezione del
modulo sulle colonne è segnata
dalla più bassa delle due
modanature che le caratterizza. La
scansione delle crociere e degli
slanciati pilastri in marmo
verde di Roja definisce
all'interno uno spazio vicino alle
esperienze francesi di
Louis-Auguste Boileau e alla
tradizione di Eugène
Viollet-le-Duc, ma anche memore
degli spazi disegnati da
Henri Labrouste.
Una via mediana tra medievalismo
«razionalista» d'oltralpe e
suggestioni locali che Gallo ha
potuto maturare, con tutta
probabilità, nell'ambito della
Scuola di Applicazione per gli
Ingegneri.
Il sistema voltato a crociera
richiede il contrasto di
contrafforti che, lungo le navate
laterali, consentono di ricavare lo
spazio per i confessionali, mentre
in facciata si risolvono nel
sistema del muro di sostegno alla
tribuna dell'organo. All’esterno,
lungo i fianchi dell’edificio, i
contrafforti sono gerarchizzati in
funzione delle spinte sostenute:
quelli posti in corrispondenza
degli archi delle crociere maggiori
giungono sino alla gronda del
tetto, mentre i contrafforti
minori, posti in corrispondenza
delle crociere delle navate
laterali, si alternano ai maggiori,
risultando meno sporgenti e
arrestandosi al disotto della
cornice in cotto che segna la
navata laterale.
Angelo Reycend,
professore di architettura presso
la Scuola di Applicazione torinese,
commentando la nuova costruzione
dalle pagine della «Edilizia
Moderna», rileva in positivo il
carattere strutturale e insieme
decorativo di questi elementi che
concorrono «colla loro forma
speciale caratteristica dei
contrafforti di molte chiese
piemontesi del XV secolo, a dare
varietà e ricchezza ai prospetti
medesimi». Lo stesso Reycend, che
pure polemizza con Gallo su aspetti
sostanziali del progetto,
sottolinea inoltre «la semplice e
opportuna disposizione della pianta
e degli alzati, la logica
distribuzione delle masse, le buone
proporzioni dello insieme e delle
parti singole; il partito che, con
evidente naturalezza, l'architetto
ha saputo trarre dall'ossatura
della fabbrica per la esterna
decorazione della medesima, sono
pregi intrinseci di questo
edificio, che tornano a tutta lode
del suo autore, il quale in questa,
come in altre opere sue (e l'elenco
ne è a tutt'oggi, lungo parecchio),
dimostra di sapere penetrare
addentro allo spirito delle
architetture cui va, volta a volta,
chiedendo ispirazione». Negli
interni, un Neogotico ricco
di guglie, pinnacoli,
archi ogivali polilobati
caratterizza gli arredi, la cui
progettazione e realizzazione
procede negli anni, ben oltre il
completamento dell'edificio. Gallo
disegna infatti minutamente di sua
mano tutti gli oggetti liturgici e
gli arredi mobili, sino nei minimi
particolari: gli altari (alcuni
disegni datano al 1906) con le
cornici per i trittici dipinti (per
i quali gli studi preliminari già
definiscono in modo preciso
l'iconografia delle pale); la cassa
d'organo; gli stalli e i leggii del
coro; gli inginocchiatoi; il
pulpito ligneo (1901); i
confessionali; il fonte
battesimale; il cancello della
balaustra; le pile dell'acquasanta;
sino alle carteglorie, ai doppieri,
ai candelieri, al becco a gas, ai
crocifissi, alla croce del
campanile. Disegni in una scala mai
minore dell'1 a 10, che
testimoniano l'attenzione per ogni
aspetto della progettazione, spinto
sino al disegno al vero delle
gugliette e dei pinnacoli del
baldacchino ligneo. Gli interni
dell'edificio sono inoltre
arricchiti dalla decorazione a
rilievo su stucco lucido delle
pareti verticali. Anche le vetrate,
con cornici a fiori o palmette e
campi a treillage, vengono
disegnate in piccolo formato da
Gallo, a china e acquerello,
privilegiando una tavolozza di
colori ocra, di rossi e di verdi
per la cui esecuzione interviene il
pittore Pietro Guglielmi, autore
anche dei dipinti su vetro posti
negli scompartimenti laterali dell’a
ltare maggiore e raffiguranti San
Francesco d'Assisi e San Pietro
d'Alcantara.
All'esterno, il quadrato di 2 x 2
moduli base che caratterizza la
navata centrale è coerentemente
riproposto sui fianchi laterali e
definisce lo spazio tra i
contrafforti, mentre in verticale
determina esattamente la distanza
tra il cornicione e la cornice in
cotto che corre al piede delle
finestre. Il portale è realizzato
in marmo di
Viggiù, scolpito a foglie
di rose, a rami di vite e
passiflora con colonnine in marmo
verde della Roja e sovrastato dal
mosaico del timpano che raffigura
il Redentore. Gli archetti pensili,
il pluteo che sovrasta la facciata,
così come gli altri elementi a
vista come le colonnine dei
pinnacoli sono realizzate in
litocemento.
Insieme alla chiesa viene inoltre
edificato l'antistante convento; in
ossequio alla regola francescana,
ma anche in accordo con un
principio al quale Gallo sarà
sempre fedele, la parte
residenziale del complesso viene
realizzata con grande semplicità,
in contrapposizione evidente con la
ricchezza decorativa della chiesa,
programmaticamente rivolta al
coinvolgimento spirituale ed
emotivo dei fedeli. Si tratta di un
corpo a due piani, in mattone a
vista, con semplici cornici in
cotto a dente di sega. Sotto il
profilo architettonico, l’edificio
sembra porsi in rapporto con quella
tradizione di chiara e semplice
organizzazione funzionale e
distributiva espressa dalle
migliori architetture neoromaniche
di matrice lombarda. L'edificio a
manica semplice si apre sul portico
di distribuzione voltato a
crociera, definendo un chiostro
quadrato che riprende la più
tradizionale delle impostazioni
planimetriche conventuali. La
costruzione raccoglie sia gli
ambienti privati sia i locali
comunitari, come il refettorio, la
biblioteca e la sala capitolare.
Alle spalle del chiostro un
«cortile rustico», sul quale si
aprono la stalla e la tettoia che
funge da fienile, completa gli
spazi di servizio. I due edifici
risultano relativamente poco
costosi: 110.000 lire il convento,
132.450 lire la chiesa, nonostante
l'uso di marmi e le raffinate
lavorazioni artigianali;
economicità che costituisce una
costante nei cantieri di Gallo, non
ultima tra le ragioni che negli
anni successivi ne decreteranno la
fortuna nel contesto della Curia
piemontese.
Estratto da M. VOLPIANO,
Giuseppe Gallo. L'Architettura
sacra in Piemonte tra Ottocento e
Novecento, Allemandi, Torino,
2002, pp. 87-89.
Archivio Giuseppe e
Bartolomeo Gallo
(1882-1967)
Rubrica personale di G.
Gallo, lettera B.
L'inaugurazione è registrata nella
«Gazzetta Piemontese» del 21 maggio
1894, dove l’edificio è definito di
«stile italiano di transizione tra il
lombardo e l’archiacuto»;
Pratiche, Torino, San
Bernardino da Siena, 25 bis,
Relazione di Perizia dei danni
prodotti alla chiesa di S. Bernardino
da Siena in Torino, e dei lavori di
restauro occorrenti, febbraio
1918; Relazione di Perizia
dei lavori di restauro eseguiti alla
Chiesa Parrocchiale di S. Bernardino
da Siena alla Borgata di San Paolo di
Torino, 3 luglio 1918.
Bibliografia
I. Arneudo, Torino
sacra illustrata nelle sue chiese nei
suoi monumenti religiosi nelle sue
reliquie, Giacomo Arneodo
editore, Torino, 1898, pp.
32-336.
A. Reycend, Chiesa e convento di
San Bernardino da Siena, in
Torino, in <<L'Edilizia
Moderna>>, V (1896), pp. 25-28,
tavv. XV-XVII.