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L'Unità d'Italia

 
 La "Nuova Facciata" di Santa Maria del Fiore, Firenze, Emilio De Fabris1870-87

La "Nuova Facciata" di Santa Maria del Fiore, Firenze, Emilio De Fabris1870-87

 
 

Il nuovo linguaggio unitario: l'eclettismo neomedievista

Forse lo sprone principale all'innovazione del linguaggio artistico italiano, e quindi anche del linguaggio architettonico, è legato al processo di unificazione nazionale ed è da ricercare nelle motivazioni politiche risorgimentali, che rendevano impossibile, per gli intellettuali italiani, ricercare una pretesa discendenza dalla Roma imperiale ed augustea, perché avocata ad antecedente necessario dal potere temporale pontificio, sin dalla trecentesca commedia dantesca che fa di Virgilio il "vate" della necessità della stirpe Julia per la divulgazione della cristianità.
Gli intellettuali si rivolsero quindi all'antecedente storico ideale dell'"Italia dei Comuni" del XII e XIII secolo, attribuendo alle repubbliche medievali toscane e lombarde una portata di innovazione e di rinascenza del Paese che avrebbe dovuto evocare e preannunciare l'unificazione "liberatoria" sabauda.
Questo atteggiamento perdurò fino alla piena età umbertina e si smorzò per essere sostituito con la romanità solo durante le fasi d'attuazione della grande replica della "monumentalità imperiale" costituita dal Monumento a Vittorio Emanuele II, vero epicentro degli sventramenti romani.
Come prima il mondo classico, il Medioevo viene indagato con metodo che Elena Dellapiana definisce "illuminista"1, attraverso una ricerca sistematica ed una classificazione di tecniche e componenti che rivelano la profonda perizia ed inventiva ingegneristica dei costruttori.
Negli ultimi anni dell'Ottocento il "neomedioevismo" che scaturisce dai manuali delle Accademie di Belle Arti acquisisce un riverbero universale che si traduce su più fronti, dall'edilizia minore, preannunciata dai timidi padiglioni da giardino di cultura inglese e dalle villette torinesi di Alfredo D'Andrade, fino all'edilizia pubblica e religiosa come rileva Carlo Ceschi scrivendo «si pronuncia sempre più dominante […] la passione per l'architettura del medio evo, romanica e gotica, e si procede alla sua valorizzazione. Liberazioni, reintegrazioni, completamenti e parziali ricostruzioni di edifici medioevali avvengono un po' ovunque, […]2 a partire dalla riproposizione in stile delle facciate delle chiese fiorentine di Santa Croce (Niccolò Matas, 1854-1863) e di Santa Maria del Fiore» (De Fabris, 1876-1883).
 

 

L'impianto del nuovo governo centrale a Roma

Dopo il 20 settembre 1870, con l'approvazione dei Piani regolatori generali per la città di Roma del Viviani si apre una nuova concezione dell'urbanistica e dell'architettura degli spazi pubblici, erede dell'esperienza haussmaniana francese. Si aprono ampi sventramenti che ridisegnano il tessuto viario del centro storico della capitale, dapprima atti a collegare gli edifici storici, espropriati alla curia e nei quali sono state inserite provvisoriamente le funzioni ministeriali, poi estesi a ricollegare le sedi definitive del governo impiantate nei nuovi monumenti urbani che devono esprimere il potere centrale laico con un rinnovato linguaggio3.
Non è indifferente la teorizzazione di Camillo Boito, che accanto alla definizione dello stile nazionale neomedievista indicherà l'opportunità del mantenimento regionalistico del lessico architettonico, riconoscendo alla capitale una espressione rinascimentale intrinseca data dall'enorme mole di superbe opere che quel periodo ha qui lasciato. Vedremo quindi costituirsi le nuove centralità urbane della capitale assecondando un linguaggio neorinascimentale che ecletticamente compone le istanze unitarie con l'immagine consolidata della capitale. Un esempio di primo rilievo è il Palazzo di Giustizia di Guglielmo Calderini (1885).
Sulla riva destra del Tevere, nel quartiere di nuovo impianto dei Prati di Castello, edificato ad hoc per contenere l'incremento demografico "laico" conseguente l'impianto del governo, Calderini mette a punto il suo progetto romano con cui vuole confrontarsi con i grandi del passato, all'incrocio delle direttrici della barocca e pontificia corsia agonale (piazza Navona) e di piazza del Popolo (memoria architettonica per eccellenza del governatorato francese di Roma), il Palazzo di Giustizia costituisce un raccordo essenziale simbolico tra l'architettura della vecchia e della nuova Roma4.
In contrappasso con il bramantesco Palazzo dei tribunali di Giulio II (mai concluso) che doveva portare la "giustizia" della curia vaticana sulla sponda "laica" e capitolina, Calderini completa il palazzo con tre avancorpi, bugne a tutto spessore ed ordini neorinascimentali che traslittera la mole di memoria bramantesca, affidandole funzioni laiche e fondandola sponda vaticana.
 

1 E. Dellapiana, Il mito del medioevo, in Storia dell'architettura Italiana, L'Ottocento, a cura di A. Restucci, Milano, Electa, 2005.
C. Ceschi, Teoria e storia del restauro, Roma, Mario Bulzoni, 1970. 
3 A. M. Racheli, La città dei ministeri nei primi piani regolatori di Roma capitale 1870-1911, in Roma Capitale 1870-191. I Ministeri di Roma capitale: l'insediamento degli uffici e la costruzione delle nuove sedi, Venezia, Marsilio Editori, 1985.
4 G. Muratore, Uno sperimentalismo eclettico, in Storia dell’architettura Italiana. Il primo Novecento, a cura di G. Ciucci e G. Muratore, Milano, Electa, 2004.