L'Unità d'Italia
Il nuovo linguaggio unitario: l'eclettismo neomedievista
Forse
lo sprone principale all'innovazione
del linguaggio artistico italiano, e
quindi anche del linguaggio
architettonico, è legato al processo
di unificazione nazionale ed è da
ricercare nelle motivazioni politiche
risorgimentali, che rendevano
impossibile, per gli intellettuali
italiani, ricercare una pretesa
discendenza dalla Roma imperiale ed
augustea, perché avocata ad
antecedente necessario dal potere
temporale pontificio, sin dalla
trecentesca commedia dantesca che fa
di Virgilio il "vate" della necessità
della stirpe Julia per la
divulgazione della cristianità.
Gli intellettuali si rivolsero quindi
all'antecedente storico ideale
dell'"Italia dei Comuni" del XII e
XIII secolo, attribuendo alle
repubbliche medievali toscane e
lombarde una portata di innovazione e
di rinascenza del Paese che avrebbe
dovuto evocare e preannunciare
l'unificazione "liberatoria"
sabauda.
Questo atteggiamento perdurò fino
alla piena età umbertina e si smorzò
per essere sostituito con la romanità
solo durante le fasi d'attuazione
della grande replica della
"monumentalità imperiale" costituita
dal Monumento a Vittorio Emanuele II,
vero epicentro degli sventramenti
romani.
Come prima il mondo classico, il
Medioevo viene indagato con metodo
che Elena Dellapiana definisce
"illuminista"1,
attraverso una ricerca sistematica ed
una classificazione di tecniche e
componenti che rivelano la profonda
perizia ed inventiva ingegneristica
dei costruttori.
Negli ultimi anni dell'Ottocento il
"neomedioevismo" che scaturisce dai
manuali delle Accademie di Belle Arti
acquisisce un riverbero universale
che si traduce su più fronti,
dall'edilizia minore, preannunciata
dai timidi padiglioni da giardino di
cultura inglese e dalle villette
torinesi di Alfredo D'Andrade, fino
all'edilizia pubblica e religiosa
come rileva Carlo Ceschi scrivendo
«si pronuncia sempre più dominante […]
la passione per l'architettura del
medio evo, romanica e gotica, e si
procede alla sua valorizzazione.
Liberazioni, reintegrazioni,
completamenti e parziali
ricostruzioni di edifici medioevali
avvengono un po' ovunque, […]2
a partire dalla riproposizione in
stile delle facciate delle chiese
fiorentine di Santa Croce (Niccolò
Matas, 1854-1863) e di Santa Maria
del Fiore» (De Fabris,
1876-1883).
L'impianto del nuovo governo
centrale a Roma
Dopo il 20 settembre 1870, con
l'approvazione dei Piani regolatori
generali per la città di Roma del
Viviani si apre una nuova concezione
dell'urbanistica e dell'architettura
degli spazi pubblici, erede
dell'esperienza haussmaniana
francese. Si aprono ampi sventramenti
che ridisegnano il tessuto viario del
centro storico della capitale,
dapprima atti a collegare gli edifici
storici, espropriati alla curia e nei
quali sono state inserite
provvisoriamente le funzioni
ministeriali, poi estesi a
ricollegare le sedi definitive del
governo impiantate nei nuovi
monumenti urbani che devono esprimere
il potere centrale laico con un
rinnovato linguaggio3.
Non è indifferente la teorizzazione
di Camillo Boito, che accanto alla
definizione dello stile nazionale
neomedievista indicherà l'opportunità
del mantenimento regionalistico del
lessico architettonico, riconoscendo
alla capitale una espressione
rinascimentale intrinseca data
dall'enorme mole di superbe opere che
quel periodo ha qui lasciato. Vedremo
quindi costituirsi le nuove
centralità urbane della capitale
assecondando un linguaggio
neorinascimentale che ecletticamente
compone le istanze unitarie con
l'immagine consolidata della
capitale. Un esempio di primo rilievo
è il Palazzo
di Giustizia di Guglielmo Calderini
(1885).
Sulla riva destra del Tevere, nel
quartiere di nuovo impianto dei Prati
di Castello, edificato ad
hoc per contenere l'incremento
demografico "laico" conseguente
l'impianto del governo, Calderini
mette a punto il suo progetto romano
con cui vuole confrontarsi con i
grandi del passato, all'incrocio
delle direttrici della barocca e
pontificia corsia agonale (piazza
Navona) e di piazza del Popolo
(memoria architettonica per
eccellenza del governatorato francese
di Roma), il Palazzo di Giustizia
costituisce un raccordo essenziale
simbolico tra l'architettura della
vecchia e della nuova Roma4.
In contrappasso con il bramantesco
Palazzo dei tribunali di Giulio II
(mai concluso) che doveva portare la
"giustizia" della curia vaticana
sulla sponda "laica" e capitolina,
Calderini completa il palazzo con tre
avancorpi, bugne a tutto spessore ed
ordini neorinascimentali che
traslittera la mole di memoria
bramantesca, affidandole funzioni
laiche e fondandola sponda
vaticana.
1
E. Dellapiana, Il mito del
medioevo, in Storia
dell'architettura Italiana,
L'Ottocento, a cura di A.
Restucci, Milano, Electa, 2005.
2
C. Ceschi, Teoria
e storia del restauro, Roma,
Mario Bulzoni, 1970.
3
A. M. Racheli, La città dei
ministeri nei primi piani regolatori
di Roma capitale 1870-1911,
in Roma
Capitale 1870-191. I Ministeri di
Roma capitale: l'insediamento degli
uffici e la costruzione delle nuove
sedi, Venezia, Marsilio
Editori, 1985.
4
G. Muratore, Uno sperimentalismo
eclettico, in Storia
dell’architettura Italiana. Il primo
Novecento, a cura di G.
Ciucci e G.
Muratore, Milano, Electa,
2004.