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Dall'Unità d'Italia si apre una
stagione di ricerca architettonica
tesa all'individuazione di uno
"stile nazionale" che incarni anche
nell'architettura l'unificazione
politica. Il gusto eclettico di
moda all'epoca nelle accademie di
belle arti consente l'importazione
degli stilemi e della sintassi
delle architetture del passato ad
accreditare la monumentalità della
nuova edilizia pubblica.
Soprattutto nella capitale si
svolge un fortissimo rinnovamento
del concetto di architettura, ma
anche di città con trasformazioni
urbanistiche spesso evidenti che
caratterizzeranno indelebilmente
quest'epoca.
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Nell'arco dei primi anni del
Novecento si assiste ad una forte
ricerca di innovazione del
linguaggio architettonico che, con
Gustavo Giovannoni, si estende
all'attenzione per il valore
simbolico e sociale della città e
per la preservazione dell'antico.
Di contro, tuttavia, l'affermarsi
dello "stile nazionale" e
dell'esigenza di retorica di forti
frange della critica e della
politica confinano le libertà
espressive entro i canoni della
"nazionalità" separando il processo
di sviluppo dell'architettura
italiana dal quadro internazionale,
che nel frattempo sviluppa le nuove
forme della secessione viennese e
del liberty.
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Il dibattito architettonico negli
anni del Fascismo si divide tra il
"Movimento moderno" e le nuove
istanze razionaliste derivanti
dallo "stile internazionale". Gli
architetti italiani cercano una
sintesi tra l'architettura della
propaganda, estesa alla
trasformazione urbana e al
rinnovamento fino all'edificazione
di nuove "metafisiche" città di
fondazione, e l'architettura delle
nuove tendenze internazionali di
stampo funzionalista e razionale.
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La ricostruzione postbellica
incarna nel processo edilizio il
sentimento di rinascita
dall'umiliazione e dall'indigenza
della guerra, spostando
l'attenzione verso l'architettura
sociale destinata alla fruizione
pubblica, alla residenza popolare,
all'emersione delle aree depresse.
La sperimentazione architettonica
si lega alle tecnologie per
qualificare tecnicamente ed
esteticamente l'edilizia minore. La
scuola di architettura si rinnova
accogliendo i professionisti di
maggior rilievo nei corsi di
composizione e riaprendosi al
dibattito internazionale.
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La ripresa economica degli anni
Cinquanta e Sessanta unita
all'innovazione delle tecniche e
dei materiali portò forse ad un
disorientamento della vecchia
scuola di architettura con un
conseguente sbandamento delle nuove
generazioni alla ricerca di un
perduto linguaggio da reinventare.
Si assiste pertanto ad
approfondimenti riflessivi sull'uso
dei materiali e sul rapporto tra
questi e la forma dell'architettura
e come ciò si traduca nella
percezione da parte
dell'osservatore, fino ad arrivare
a integrare l'operazione
progettuale con la partecipazione
dei fruitori nelle esperienze di
Samonà e De Carlo.
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La crisi degli ideali di
architettura e dei modelli di
comportamento dell'architetto, più
che legata a temi formalistici e
tipologici, pur presenti nel
panorama dell'ultimo trentennio,
sembra legata ad una variata
funzione sociale e "normativa"
della figura dell'architetto: non
più artista, ma tecnico. Inoltre il
mondo professionale si sta sempre
più orientando verso specialismi
diversificati che mal contemplano
la figura dell'architetto
universale erede dell'impostazione
giovannoniana ancora promulgato
nelle scuole di architettura.